Formazione Dicembre 2019 Arborvitae

Giornata di formazione aperta a tutti dipendenti e ospiti come tradizione della cooperativa, il Natale è vicino e seguirà la cena di augurio di Arborvitae. Natale come cambiamento, come fecondità, come dare alla luce, farsi strumento di un piano più grande. L’umanità si specchia nella rappresentazione iconografica del povero Giuseppe, ripiegato su stesso, in preda ai dubbi, insidiato dal male. Incredulo. Tutti come lui abbiamo sofferto, ci siamo chiesti se siamo stati ingannati, ci siamo sentiti presi in giro, messi da parte. In balia dei propri limiti. Ridimensionati nel nostro ego di fronte a qualcosa che ha un senso più grande che va oltre il nostro piccolo orticello. Se siamo in grado di accettarlo, di fare questo salto di fiducia, se riusciamo ad avere uno sguardo più alto, abbiamo allora una sensibilità generativa come Maria. Siamo in grado di servire? Siamo in grado di metterci a disposizione degli altri con umiltà?  Le comunità sono ricche di storie di dolore, in questo sono simbolo anch’esse di un’umanità debole e afflitta, che cerca di arrabattarsi combattendo per svincolarsi dalle spire delle tenebre. La sofferenza, il dubbio, le tentazioni dell’uomo qualunque restano in secondo piano di fronte al potere e al mistero della creazione. C’è una speranza di luce e di parola. La natività è questa luce.

A partire da una riflessione sui passaggi della Kubler Ross di accettazione della morte, e dunque anche del limite, si riflette. La fase del” rifiuto” è quella che conosciamo bene quando facciamo in conti con ciò che c’è da cambiare. La negazione, l’impossibilità di vedere le cose come stanno, il classico “me ne vado” ripetuto dagli ospiti appena arrivati in comunità, o meglio urlato a gran voce, e spesso anche messo in atto con tutte le proprie forze, in continuazione ad ogni confronto con sé stessi e alla possibilità di considerare una faticosa alternativa.

Arriva poi la “collera”, come ci ricorda il vetro della porta d’ingresso infranto da Gianfranco, i tentativi estremi rabbiosi di opporsi alle abitudini che hanno modellato vite disfunzionali. Grande traguardo è il “patteggiamento” quando si arriva ad un accordo tra le due parti di sé, si riescono a intravedere entrambe, e si negozia sui nuovi possibili orizzonti.

Da qui origina “la depressione”, una resa che implica una perdita di qualcosa che ormai non è più come prima.

Infine “l’accettazione” del nuovo equilibrio, che ha la sua massima espressione nel riuscire a rendere grazie. La Kubler Ross racconta la storia di una madre che ha perso i suoi figli in un campo di concentramento. Trasformare un dolore così tragico in accettazione, senza perdersi nelle tenebre è davvero un cammino difficile, è qualcosa che ci ricorda la figura di Cristo che offre come sommo sacrificio la vita del proprio figlio. Con l’unica traccia rimasta dei suoi figli, che è riuscita a recuperare, i loro denti, quella donna ha fatto un bracciale, come monito per trasformare il suo dolore e farne un messaggio, una missione.

Il dolore degli ospiti è il nostro prezioso bracciale, perché gli ospiti costituiscono loro stessi i pilastri che tengono su la comunità, con il loro divenire messaggio della possibilità di trasformare il dolore, di poter cambiare atteggiamento, abitudine, stile di vita. Gli ospiti con anni di comunità alle spalle diventano messaggio di speranza per i nuovi arrivati, diventano esempio, direzione. Anche Martino “lavora a fianco a voi” dice Marco, siamo ospiti nella casa che porta il suo nome e che è simbolo della possibilità di fare dell’accettazione di una condizione terribile un progetto, una missione.

In gruppo si riflette sui cambiamenti attraversati, su quello che ostacola il cambiamento e su come poter migliorare il nostro lavoro. È stato un anno di grandi cambiamenti e difficoltà. Cambiamenti burocratici che incidono sulla vita di centinaia di persone che si trovano a vivere in un limbo, come i richiedenti asilo in attesa di avere una sentenza sul proprio futuro. Il malessere serpeggia prende forme diverse, le emergenze si moltiplicano e il lavoro diventa prevenzione e contenimento. C’è uno scontro forte, nello strutturare una comunità fatta di nuovi ospiti che non condividono un comune obiettivo di integrazione, ma palesano solo un atteggiamento rivendicativo, che logora gli operatori ed è fonte di frustrazione e senso di impotenza. Ci si trova a combattere quotidianamente nel riportare un pensiero magico ad un concreto senso di realtà, a limitare i danni, a sostituirsi alle inadempienze. La forza che si contrappone alle problematiche è quella della stabilità del gruppo di lavoro, che condivide un metodo e parla un linguaggio comune, formandosi sul campo a partire dall’ambito comunitario. Anche gli ospiti riflettono sulle loro difficoltà: la poca collaborazione, la paura della perdita della libertà, la difficoltà ad accettare quello che non piace e anche che l’altro stia male. Le risorse che sentono di poter mettere in campo sono il lasciare che gli altri facciano da specchio, provare ad uscire dall’idea che siano gli altri a dover cambiare e il fare esperienza di comunità.

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