Vita, sofferenze, rinascita e riscoperta di sé

Le storie (vere) dell’Albero della Vita

Quattro mesi di blackout in una vita segnata da grandi dolori. Un incidente che per quattro mesi ha annullato la possibilità di pensare, amare, abbracciare; un incidente terribile che avrebbe potuto pregiudicare per sempre, la possibilità di camminare, la faticosa rinascita in una comunità che diventa famiglia.

Elisa è bella, ha 45 anni e un figlio di 17, C., al quale scrive ogni giorno. Non lo vede da anni ormai, ma questa è un’altra storia. Una ragazza difficile? Indubbiamente. Come tanti adolescenti, costruisce un rapporto conflittuale con la sua famiglia e la gemella Elena che racconta essere come la parte “buona” di lei, quella che assecondava la mamma e “faceva sempre la spia”. Una bambina e ragazza comunque felice che amava divertirsi, stare con gli amici, giocare a pallavolo, pattinare, un po’ fuori dagli schemi e non amante delle regole e degli orari, “testa calda” a suo stesso dire.

Cosa farai da grande si chiede spesso alle bambine.. chi la regina, chi la maestra, chi la parrucchiera e via di fantasia. Elisa voleva fare l’infermiera e realizza il suo sogno lavorando in Psichiatria all’Ospedale di Alba, un lavoro impegnativo e gratificante che le lascia il tempo di coltivare amicizie, divertimento e di incontrare l’amore della vita, I., istruttore di difesa personale, grazie ad un corso organizzato proprio dalla Asl. Il ragazzo, purtroppo, ha seri problemi di dipendenza dalla droga, ma, come tante donne, Elisa spera con il suo amore di “redimerlo”.

“Ero diventata amica dei suoi amici per sapere sempre dove fosse”, racconta a fatica oggi (l’incidente ha pregiudicato una parte dell’eloquio), dopo un po’ di tempo mi ha chiesto di vivere insieme, non me lo sono fatta ripetere due volte”. Una storia di amore, passione ma anche fatica dovuta ai problemi di Ivano, durata due anni, in mezzo la nascita di C., cucciolo biondo dal sorriso ammaliante.

La storia non si chiude per sfinimento, tradimenti, malintesi, la maledetta droga o chissà quale, tra i motivi infiniti che uccidono l’amore. Quando il bimbo ha solo 15 giorni, in una soleggiata giornata di settembre, I. muore, precipitando in un cantiere mentre lavorava, lasciando Elisa sola con il loro bambino.

Il mondo cambia prospettiva, chissà, diventa un po’ nemico ed è difficile andare avanti, il lavoro diventa pesante, le giornate più buie, nonostante l’amore per un bambino faccia superare (quasi) ogni difficoltà. Elisa, molto credente, trova conforto nella preghiera e nel pensiero della Madonna, gli amici cercano di distrarla in ogni modo e il lavoro le dà la possibilità di un orario ridotto per seguire il bimbo, che lei non vuole lasciare con i suoceri che pure la aiutano molto. Tra gli amici, in particolare, Elisa si avvicina a M., cintura nera di judo e collega di I.. Elisa vorrebbe delle risposte sulla morte del compagno e la sfiora il dubbio che al momento dell’incidente, il ragazzo fosse sotto l’effetto di qualche sostanza. M. è un paziente del reparto psichiatrico dove lavora Elisa, un’altra storia problematica all’orizzonte, che presto presenta un conto amaro.

È domenica sera di un freddo 22 dicembre 2002. I tre escono per andare a mangiare la pizza “Perché sono uscita – spiega angosciata Elisa, dopo 16 anni – eravamo già stati fuori quel giorno”, quasi a giustificare il desiderio di uscire. A soli 100 metri da casa, il momento del buio.

Il piccolo è seduto davanti, fortunatamente ancorato al suo seggiolino, Elisa siede dietro, M. alla guida (con la macchina di Ivano, una beffa del destino). Non si sa se per eccessiva velocità o distrazione, la macchina si schianta contro un’altra macchina per poi fermarsi contro un muro. Il bimbo fortunatamente resta illeso, M. fugge, Elisa è gravissima.

“Mia madre mi ha fatto vedere, dopo mesi, le foto della macchina. Non ci potevo credere”, spiega ancora Elisa che non ha ricordi dei quattro mesi in cui ha riportato un trauma cranico, lesioni encefaliche e, a causa del prolungato stato di coma, sintomatologia psichiatrica, turbe della marcia e dell’equilibrio, compromissione della motilità oculare e dell’eloquio.

Inizialmente curata a casa, con assistenti qualificati, per Elisa si apre un periodo irto di difficoltà, l’incidente le lascia gravi problemi caratteriali. Una via crucis costellata anche da violenza nei confronti delle persone che si occupano di lei. La strada della comunità sembra essere l’unica perseguibile, una prima struttura però allontana Elisa che non va d’accordo con gli ospiti e gli operatori. È la disperazione che la accompagna verso quella che è la vera strada per la rinascita. La Elisa che arriva a Casa Bosticco è molto diversa da quella che oggi ha il coraggio di raccontarsi: liti, capricci, minacce di suicidio, fughe. Nel frattempo il bambino anche a causa dei comportamenti di Elisa, rifiuta qualunque contatto con la madre. Da sette anni i due non si incontrano più.

Le cure amorevoli, la pazienza degli operatori i forti incoraggiamenti del direttore della comunità, Marco Burdese, che la sprona anche bruscamente a cercare di camminare e riprendere in mano la sua dipendenza, compiono il miracolo. “All’inizio, odiavo Marco perché mi obbligava a camminare da sola con i sostegni – spiega Elisa – oggi so che gli devo tutto. A lui e alla Madonna”.

Ora aspetta solo che il figlio compia 18 anni perché ha fede in un suo riavvicinamento, ogni giorno fa un disegno per lui o gli scrive un pensiero. A suo modo ha trovato un equilibrio e ha legato con tutti i compagni di comunità, si è integrata e partecipa alle iniziative organizzate.

“Mi manca tanto mio figlio e mi manca tanto anche il mio lavoro, I. mi diceva che era bello vedere una persona che si alzava felice di andare a lavorare. Ho pianto talmente tanto che gli occhi mi erano diventati verdi, ora non riesco nemmeno più a piangere”.

Sorride, invece Elisa e mi porta a vedere la sua cameretta color lavanda e crema della quale va molto fiera, mi fa vedere i disegni per il figlio, le frasi che faticosamente scrive (era mancina, ma dopo l’incidente scrive con la destra). Mi mette in mano una frase tratta dal film Il Corvo: “le case bruciano, le persone muoiono, ma il vero amore, quello è per sempre”.

Nessun risultato trovato.