Percorsi di migrazioni.Storie, successi e solidarietà

Un lavoro anche se stagionale, per aprire una porta sul futuro. Due uscite dal programma grazie a ottimi inserimenti e la storia di Adam, ragazzo senza passato

Indubbiamente l’argomento migrazioni è molto caldo, spesso foriero di grandi confusioni e inasprimenti. La tensione sociale è alle stelle e l’intolleranza è arrivata a livelli insostenibili, data la “non conoscenza”.

Un po’ di chiarezza può essere necessaria.

Il migrante lascia volontariamente il proprio paese d’origine per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori, non è un perseguitato nel proprio paese e può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza.

Il profugo è chi lascia il proprio paese a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali.

La condizione di rifugiato è definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Si tratta di una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.

Un richiedente asilo è una persona che, avendo lasciato il proprio paese, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale. Fino a quando non viene presa una decisione definitiva dalle autorità competenti di quel paese (in Italia è la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato), la persona è un richiedente asilo e ha diritto di soggiornare regolarmente nel paese, anche se è arrivato senza documenti d’identità o in maniera irregolare.

Il beneficiario di protezione umanitaria non è riconosciuto come rifugiato, perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo paese ma ha comunque bisogno di protezione o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpatriato potrebbe subire violenze o maltrattamenti.

I motivi per cui le persone abbandonano i propri territori sono molteplici, spesso esistono condizioni di vita inumane, divario tra Paesi, cambiamento climatico, insomma non la ricerca della “pacchia”.

La buona integrazione è possibile, ma non semplice. I piccoli numeri sono una risposta che si può ampliare.

Per esempio Glory e Grace, nigeriane, hanno iniziato a lavorare con contratto stagionale di un mese presso un’azienda agricola del sud astigiano. Si recano al lavoro in bicicletta fino alla stazione di Asti e poi prendono il treno, ogni giorno e con grande responsabilità. Un piccolo passo verso un futuro e un’autonomia, anche se continua per loro il percorso di protezione.

Al contrario, hanno concluso il progetto di due anni e ottenuto i documenti, due famiglie con bambini. Con la Cooperativa gli adulti hanno seguito corsi propedeutici al lavoro con inserimenti in lavori di pubblica utilità a San Damiano “per tenere pulito il paese che li ospitava”, i piccoli sono stati accompagnati nel cammino scolastico (scuola materna ed elementare), uno di loro è nato ad Asti che ora è diventata la loro città. Hanno sperimentato in accoglienza la vita in appartamento dopo un periodo di vita comunitaria, per acquisire le conoscenze necessarie alla vita autonoma.

Per esempio, portare il proprio figlio alla scuola materna ha significato confrontarsi con gli insegnanti , con gli altri genitori e rimotivarsi anche nell’apprendimento della lingua per aiutare il proprio figlio ad integrarsi. Un’esperienza molto positiva sia per i genitori ma soprattutto per i bambini che hanno trovato nella scuola di San Damiano e negli insegnanti un ambiente molto favorevole e disponibile all’integrazione. L’arrivo dei documenti ha sancito per loro lo stacco dall’accoglienza e, grazie all’autonomia conquistata, hanno trovato ad Asti, casa e lavoro.

Il percorso migratorio spesso causa ferite molto profonde dovute ai conflitti ma anche al viaggio stesso che per molti migranti è un viaggio dove incontrano sofferenza e solitudine. È l’esperienza che abbiamo condiviso con Adam (nome di fantasia), ragazzo sudanese senza età e senza capacità di esprimersi.

Lui è arrivato in accoglienza in una condizioni di profonda sofferenza tanto rifiutare il dialogo con gli operatori e gli altri richiedenti asilo. Nessuna sa come sia riuscito ad arrivare a Lampedusa, si ipotizza sia stato vittime di violenze in Libia, tanto da distruggerne la psiche e poi finito chissà come su una barca di disperati.

Un percorso tutt’altro che scontato, quello di Adam perchè ogni gesto della quotidianità come nutrirsi, lavarsi, stare con gli altri, parlare è stata una conquista. Oggi grazie agli operatori si lava, si veste dignitosamente e grazie all’aiuto di qualche piccola parola (“ciao staff” per esempio è la sua “frase” preferita), cerca il dialogo.

In questi giorni è arrivata la notizia dell’accoglimento della richiesta di asilo politico per motivi umanitari. Per lui è stato studiato un progetto di accoglienza “a oltranza” e la Cooperativa continuerà, a sue spese, alla cura e al mantenimento di Adam con l’obiettivo di proteggerlo e aiutarlo.

Nessun risultato trovato.